Notizie geologiche.
Da Galeata al crinale
appenninico, la valle del Bidente caratterizzata dalla presenza di stratificazioni
rocciose costituite da elementi detritici sedimentasi con particolari
meccanismi, nel Miocene inferiore e medio tra 20 e 15 milioni di anni fa, entro
un grosso bacino fossa marina. Si tratta della "struttura marnoso arenacea
romagnola". Arenarie, siltiti, marne e argille, a cui si associano più raramente
calcareniti e calcari marnosi. I principali agenti di trasporto di questi
terreni detritici entro la fossa marina subsidente che occupava allora gran
parte dell'area appenninica, erano le correnti torbide e vari meccanismi di
trasporto in massa per gravità che facevano risedimentare sui fondi marini gli
stessi detriti che in precedenza si erano accumulati e temporaneamente
assestati ai margini del bacino marino in corrispondenza di conoidi fluviali. Dopo
la fase di risedimentazione, avveniva in questo ambiente marino pelagico o di
mare aperto, la normale sedimentazione di argille e marne. L'alternarsi di tali
depositi dava luogo a quella ritmicità di stratificazioni di arenarie e marne
che, con uno spessore di alcuni migliaia di metri, osserviamo ora nell’alta valle del bidente, non sempre però nella loro
giacitura primaria orizzontale, ma piegate e fratturate a seguito dei fenomeni
orogenetici che le fecero emergere dai fondi marini. Studi approfonditi sull’orientamento
delle impronte delle correnti torbide, hanno permesso di accertare che in massima
parte i sedimenti stessi provengono dall’area alpina. Non mancano pero strati
di arenaria con forti contenuti di detriti calcarei i cui elementi sono stati
qui trascinati da correnti torbide provenienti da sud "piattaforme
calcaree abruzzese e tosco-laziale" con percorsi intorno ai 200 km. E' il caso della "sega grossa" uno spesso strato di arenaria detta anche albarese, che si osserva nella caratteristica rupe di fronte al centro abitato di Galeata. I geologi la chiamano ora " strato Contessa" perchè è stato possibile seguirlo per oltre 150 km. dalla Valle del Sillaro fino a nord-ovest di Gubbio lungo la "strada della Contessa".
Storia
I primi abitatori di questa valle si perdono nella notte dei tempi. Tracce di antropizzazione protostorica risalgono al periodo eneolitico (2400-1800 circa a.C.) testimoniati da alcuni reperti archeologici che ora si trovano nel Museo Mambrini di Galeata, tra cui: una piccola accetta di roccia magmatica levigata, pinte di frecce in selce, piccoli oggetti in bronzo. Abitavano in misere capanne, a volte in grotte o caverne lungo il corso delle acque o nelle pendici montane. Non si sa di quale razza fossero questi abitatori nell'età della pietra perchè nulla è rimasto a loro testimonianza; ma gli studiosi, per comune consenso, pensano che fossero gli umbri i primi ad usare i metalli, in quella valle. Della esistenza degli Umbri, in questa zona parlano le loro tombe che frequentemente vengono scoperte. Primo vero insediamento urbano è collegato a forme di seminomadismo vigenti nei territori posti a cavallo del crinale appenninico: in seguito ad una migrazione di abitanti di Bevagna, città umbra nota col nome di Mevania, avviene così la fondazione di Mevaniola, probabilmente nel VI e IV secolo a.C.. Cadde poi in mano ai Romani nel 266 a.C.. Scomparso con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, il nucleo urbano rinacque spostato più a valle formando l'attuale Galeata. Alla fine del V secolo, si insediarono, in zona, due opposte comunità: quella dell'eremita Sant'Ellero, che fondò l'abbazia sul colle a ovest del paese e iniziò l'instaurazione del monachesimo occidentale, e quella del Re Teodorico, che trasferì il suo soggiorno estivo da Ravenna a Galeata. Dopo la morte di Teodorico, che dopo l'incontro con Sant' Ellero regnò con moderazione e saggezza, per diversi secoli, tutta la vallata risentì della potenza dell'abbazia fondata dal Santo. Potenza soggetta alla Chiesa Ravennate e all'influenza di Firenze. All'inizio del XV secolo il Comune di Galeata entrò a fare parte del Granducato di toscana, rimanendovi fino al 1859. Dopo diverse vicissitudini amministrative,Galeata fu annessa al territorio forlivese nel 1923.
Il percorso:
dal parcheggio vicino al chiosco, "Il Ritrovo Piadineria", si prende l'asfalto verso Galeata, dopo pochi metri si svolta a sinistra su via 2 giugno. Si seguono i segnavia CAI che portano sull'antica mulattiera. Suggestive edicole contenenti raffigurazioni in ceramica della Via Crucis accompagnano fin al Monastero. La mulattiera sale a tornanti tagliando un paio di volte la strada asfaltata che porta al Monastero.
La data di nascita del santo la danno nel 476 d. C. ed è quasi certo che la città natale sia Arezzo, ma non è da escludere anche Rieti.
"Dal libro galeata nella storia e nell'arte".
"A 12 anni avendo appreso dall'Evangelo che per servire Iddio con maggiore fedeltà bisogna abbandonare il mondo, decise di lasciare la sua casa e la sua terra e, guidato da un angelo, venne sulla cima del monte a ridosso, verso ponente, di Galeata.
Qui col lavoro si procacciava da solo il vitto quotidiano. Con le offerte dei fedeli innalzò una chiesa che compì il terzo anno del suo ritiro e, dopo nove anni di vita eremitica, iniziò quella monastica circa l'anno 497, fondando in occidente una di quelle prime abazie che salvarono per la nostra stirpe il patrimonio intellettuale di Roma. Egli diede una regola tutta propria e singolare ai suoi discepoli. Dovevano essi consegnare ogni cosa in mano all'abate, né potevano appropriarsi alcunché senza il permesso dei superiori. Alzavansi alla mezzanotte per la preghiera, allo spuntare del giorno si applicavano alla lettura e alla preghiera fino all'imbrunire. Nel cibarsi di frutta venivano esse poste in un canestro ricoperto da un panno e, ciascun monaco, mettendo la mano sotto quel velo, prendeva la sua parte senza vedere quante e quali fossero.
Questa usanza era comune presso i monaci orientali, né di essa vi è traccia nella regola di S. Benedetto. Il che conferma che la nostra abazia precedette quelle benedettine e solo più tardi fu aggregata alla grande famiglia di cui fu padre il santo Patriarca dei monaci D'occidente.
Ora con alle spalle l'Abbazia si va a destra su strada sterrata, superati due tornanti si arriva alla Casaccia che la si trova in alto rispetto alla strada. Si raggiunge salendo la ripida scalinata che porta sull'aia. la porta d'ingrasso è ancora accessibile, anche se alcuni cartelli invitano alla prudenza per pericolo di crollo.
All'interno, sulla cappa del camino si trova la data"1872". Immancabilmente vien da pensare che fino a non molto tempo fa qui c'erano persone che si riscaldavano nelle fredde serate invernali.
Si ritorna sulla strada: la si percorre per circa cento metri poi si svolta a destra ora su stretto sentiero dove si trovano alcuni segni rossi sugli alberi. Ci si inoltra in un bosco misto ad abeti, pini e roverelle. In alcuni punti esile e moderatamente esposto.
Il percorso:
dal parcheggio vicino al chiosco, "Il Ritrovo Piadineria", si prende l'asfalto verso Galeata, dopo pochi metri si svolta a sinistra su via 2 giugno. Si seguono i segnavia CAI che portano sull'antica mulattiera. Suggestive edicole contenenti raffigurazioni in ceramica della Via Crucis accompagnano fin al Monastero. La mulattiera sale a tornanti tagliando un paio di volte la strada asfaltata che porta al Monastero.
La data di nascita del santo la danno nel 476 d. C. ed è quasi certo che la città natale sia Arezzo, ma non è da escludere anche Rieti.
"Dal libro galeata nella storia e nell'arte".
"A 12 anni avendo appreso dall'Evangelo che per servire Iddio con maggiore fedeltà bisogna abbandonare il mondo, decise di lasciare la sua casa e la sua terra e, guidato da un angelo, venne sulla cima del monte a ridosso, verso ponente, di Galeata.
Qui col lavoro si procacciava da solo il vitto quotidiano. Con le offerte dei fedeli innalzò una chiesa che compì il terzo anno del suo ritiro e, dopo nove anni di vita eremitica, iniziò quella monastica circa l'anno 497, fondando in occidente una di quelle prime abazie che salvarono per la nostra stirpe il patrimonio intellettuale di Roma. Egli diede una regola tutta propria e singolare ai suoi discepoli. Dovevano essi consegnare ogni cosa in mano all'abate, né potevano appropriarsi alcunché senza il permesso dei superiori. Alzavansi alla mezzanotte per la preghiera, allo spuntare del giorno si applicavano alla lettura e alla preghiera fino all'imbrunire. Nel cibarsi di frutta venivano esse poste in un canestro ricoperto da un panno e, ciascun monaco, mettendo la mano sotto quel velo, prendeva la sua parte senza vedere quante e quali fossero.
Questa usanza era comune presso i monaci orientali, né di essa vi è traccia nella regola di S. Benedetto. Il che conferma che la nostra abazia precedette quelle benedettine e solo più tardi fu aggregata alla grande famiglia di cui fu padre il santo Patriarca dei monaci D'occidente.
Ora con alle spalle l'Abbazia si va a destra su strada sterrata, superati due tornanti si arriva alla Casaccia che la si trova in alto rispetto alla strada. Si raggiunge salendo la ripida scalinata che porta sull'aia. la porta d'ingrasso è ancora accessibile, anche se alcuni cartelli invitano alla prudenza per pericolo di crollo.
All'interno, sulla cappa del camino si trova la data"1872". Immancabilmente vien da pensare che fino a non molto tempo fa qui c'erano persone che si riscaldavano nelle fredde serate invernali.
Si ritorna sulla strada: la si percorre per circa cento metri poi si svolta a destra ora su stretto sentiero dove si trovano alcuni segni rossi sugli alberi. Ci si inoltra in un bosco misto ad abeti, pini e roverelle. In alcuni punti esile e moderatamente esposto.
Dopo circa ore 2,15, dalla partenza, si giunge alla Collinaccia.
Bella casa completamente ristrutturata. La vista è di grande respiro.
Poco più avanti si trova il Cippo del Partigiano "Brigata Garibaldi"
Si segue lo stradello di sinistra che porta a Monte Altaccio e al vicino monte dove un tempo c'era il castello di Valcapra ricordato fin dal 1277 nelle lotte fra Guelfi e Ghibellini.
Grande sfarzo aveva questo castello con tanti possedimenti e tanti "focolari". La sua fine sembra sia avvenuta nel 1775 quando il granduca Leopoldo soppresse i 19 comuni che formavano la podesteria di Galeata, concentrando in essa l'amministrazione di tutti i comunelli soppressi.
Proprio nella curva a gomito, a destra, si va diritto su stradello non segnato, ma ben visibile. In leggera discesa che poi si accentua si raggiunge Ca' la valle. Anche questa case è stata ristrutturata ed ora viene usata saltuariamente.
Si passa poi dall'Agriturismo Pettola. Di seguito si percorrono circa dieci minuti di strada poi si devia a destra su sentiero CAI con indicazione Mevaniola. I segnavia portano in un campo arato, che si aggira sulla sinistra fino ad arrivare alla sterrata che porta agli scavi di Mevaniola.
Dagli scavi poi si prosegue per giungere alla strada asfaltata, la si segue a sinistra ed in breve si giunge al parcheggio dove si è lasciato l'auto.
Dislivello: m. 400 circa
Tempo: ore 4 + le soste
Difficoltà: nessuna
anna
Dagli scavi poi si prosegue per giungere alla strada asfaltata, la si segue a sinistra ed in breve si giunge al parcheggio dove si è lasciato l'auto.
Dislivello: m. 400 circa
Tempo: ore 4 + le soste
Difficoltà: nessuna
anna
Ciao Anna! Io vengo dal blog di Leo. Sono un artista digitale da Argentina, ma come amo l'Italia come se fosse propria, ho anche un blog sul tuo paese. Tutto quello che ha da vedere con l'Italia m´interessa, quindi mi è piaciuto molto il tuo blog. Se vuoi, puoi visitarmi. Io ti seguirò. Saluti!
RispondiEliminahttp://senderositalianos.blogspot.com
http://artedigital-by-patzy.blogspot.com
Davvero interessante il tuo blog in futuro vedrò di seguirlo. Complimenti!
RispondiEliminacomplimenti per i post molto bene dettagliati, una vera guida
RispondiEliminaGrazie Carmine e complimenti per il tuo blog senza "fronzoli"...le tue descrizioni avvincono e coinvolgono!!!
RispondiEliminaAnna, Are there any flowers or ferns along the pathway to take?
RispondiElimina